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ARLECCHINO?

dal 21 febbraio al 3 marzo

ANDREA PENNACCHI

ARLECCHINO?

scritto e diretto da Marco Baliani
con Marco Artusi, Maria Celeste Carobene, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio Mazzucato, Anna Tringali
musiche eseguite dal vivo da Giorgio Gobbo, Riccardo Nicolin

scene e costumi Carlo Sala
luci Luca Barbati

aiuto regista Maria Celeste Carobene

Produzione Gli Ipocriti Melina Balsamo in coproduzione con TSV– teatro nazionale

“In ogni epoca bisogna lottare per strappare la tradizione al conformismo che cerca di sopraffarla”
Walter Benjamin

L’Arlecchino che Andrea Pennacchi porta in scena farà forse sussultare i tanti Arlecchini che nel tempo hanno fatto grande questa maschera della commedia dell’arte.

Lui cerca in tutti i modi di essere all’altezza del ruolo, ma non ne azzecca una, é goffo, sovrappeso, del tutto improbabile, ma è in buona compagnia: gli altri attori, che, come lui, sono stati assoldati, con misere paghe, dall’imprenditore Pantalone, sono, al pari di Arlecchino, debordanti, fuori orario, catastroficamente inadeguati.

Eppure tutti questi sbandamenti, queste uscite di scena e fughe dal copione, che sono anche uscite nella contemporaneità dell’oggi, queste assurde prestazioni, queste cadute di stile e cadute al suolo di corpi sciamannati, tutte queste parole affastellate, tutto questo turbinio di azioni e gesti, stanno proprio rifacendo il miracolo della grande commedia goldoniana, in una forma non prevista, una commedia dirompente, straniante, che ricostruisce la tradizione dopo averla intelligentemente tradita.

Ed ecco allora che la storia, nonostante tutto, anzi proprio grazie a questo tutto invadente, si dipana nella sua narrazione e ne esce un Arlecchino mai visto che riunisce stilemi diversi, frammenti di cabaret, burlesque, avanspettacolo, commedia, dramma, un gran calderone ultrapostmoderno che inanella via via pezzi di memoria della storia del teatro.

Per riuscire a creare un simile guazzabuglio di intenzioni, per riuscire a renderlo eccezionalmente vivo, occorrevano attori capaci di seguirmi in un simile delirio.

Ed eccoli qui, una compagnia di compagni e complici, Marco Artusi, Federica Girardello, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio Mazzucato, e Anna Tringali, capaci di interpretare contemporaneamente più ruoli, di passare dalle proteste borbottanti degli attori sottopagati, alle vorticose azioni dei personaggi della commedia che pur devono rappresentare.

In questo incessante salto mortale di identità è il loro talento a tenere insieme ciò che di continuo sembra sfuggire alla presa.

Appartengono di diritto alla grande tradizione del teatro veneto, grande perché sempre capace di rischiare per rinnovarsi, come accade su queste tavole sceniche imbandite di follia arlecchinesca.

Durante le prove immaginavo di avere Carlo Goldoni seduto in terza fila,

e dovevo dirgli di fare silenzio tanto si sganasciava dalle risate, con gli occhi stupiti di bambino mai cresciuto di fronte a questa sua opera divenuta così inverosimile da essere ancor più sua.

E quando poi le musiche di Giorgio Gobbo accompagnate dalla batteria di Riccardo Nicolin si infilavano come blitz sorprendenti costringendo gli attori a divenire anche danzanti e cantanti il Goldoni là dietro non si teneva più.

Infine che dire delle scene fluttuanti di Carlo Sala, una scenografia semovente, mobile, semplice come lo è la creatività quando si dimentica di dover fare bella figura e si lascia andare al gioco infantile, grazie agli stessi attori che si fanno operai macchinisti

modificando la scena di continuo come avvenissero improvvise folate di vento, a volte in forma di bufera a volte come zefiro primaverile.

Il testo febbrilmente rimaneggiato ogni giorno, a partire dalle intuizioni che sorgevano in me, vedendo all’opera la creatività degli attori, e trascritto con solerzia da Maria Celeste Carobene, è proprio quello che fin dall’inizio avevo immaginato.

Le parole che vengono fatte volare sono anch’esse leggere, eppure, eppure, come accade davvero nella vera commedia, arrivano stilettate e spifferi lancinanti che parlano dei nostri giornalieri disastri di paese e di popolo, così che i terremoti scenici ci ricordano il traballare quotidiano delle nostre esistenze.

Marco Baliani

 

Durata: 105 minuti, atto unico

Orari spettacolo dal martedì al sabato ore 21:00
venerdì 23, mercoledì 28 e giovedì 29 febbraio ore 19:30
domenica ore 17:00
sabato 24 febbraio doppia replica ore 16:30 e 21:00
credit fotografico Trevisi